capitolo 7
Peter Pan ti vede
Di fronte all’ingresso dell’hotel, Ingrid congedò il marito con un bacino sulla guancia sinistra e la più villana facia de löego.
Lui, ignaro del peso che ben avrebbe portato sulla testa, salì sulla limousine piastrellata d’oro e partì, affidandosi ad un autista azzimato.
Giunta in camera l’uomaiola fece qualche piegamento sulle ginocchia e raggiunse la sua poltrona preferita, rimandando la doccia di qualche minuto. “Quel meridionale m’incuriosisce”, pensò.
“Gli farò qualche domanda. Voglio sapere tutto di lui, anche i più intimi segreti: taglia, numero di scarpe, presenza di cicatrici, tatuaggi, protesi, denti d'oro, tempo di reazione al solletico, dentifricio, disinfettanti e profilattici preferiti.” Sorrise. Chiamò la reception: “Vorrei la colazione in camera per due, fra un'ora esatta!”
“Madame, sono le tre del mattino”, straripò dall’interfono il portiere di notte, un po’ turbato.
“Non ho chiesto il suo parere: desidero mangiare con calma. E mi mandi il lift, per una commissione urgente”, disse, emettendo una traccia d’edelweiss e lisoformio.
Interrogando in profondità la sua anima che lo stava portando in un ennesimo paradiso di lussuria, Carlo capì che Cupido aveva scagliato le solite frecce che prima penetrano nel cuore dolcemente, poi lo fanno sanguinare da bastardi. “Proprio di una locarnese dovevo innamorarmi?! Ma è incantevole, misteriosa, intrigante, probabilmente non è svizzera, forse è nata a Verbania. E poi, via, cosa importa, anche se è svizzera nessuno è perfetto, ciò che conta è che s’innamori anche lei.”
Da un gabinetto fermamente informale, era passato ad un’esclusiva lounge, veramente da Principi di Piemonte. Si avvicinò alla reception chiedendo della signora con discrezione. Il portiere disse semplicemente: “L’attende, Suite 00, dodicesimo piano.”
Per salire non prese l’ascensore, che oltre a tutto era fermo proprio al dodicesimo e non dava cenno di sbloccarsi. Completò le scale con affanno. La speranza trepidava ma senza esibirsi troppo. Bussò alla porta, tre leggeri tocchi. Niente. Ribussò con forza. Aprì il ragazzo dell’ascensore, intento a tirarsi su la cerniera dei calzoni. “Sei arrivato? Meno male, con quei denti aguzzi… ho sempre paura che scatti come una tagliola” Scomparve in un lampo.
Molto strano. Carlo restò immobile sulla soglia, con la bottiglia di champagne in mano. Entrò sospettando. Il bagno vibrava di un promettente scrosciare d'acqua. Posò la bottiglia sul tavolo, notando il letto sfatto e un paio di calzini da uomo. Un particolare inquietante per un’elvetica, il disordine. L'evidenza gli gridava in faccia la verità! E lui non voleva capire.
Comparve un elfo luminoso. Quel viso volpino, segnato dal tempo, era grazioso senza fard. La donna sembrava ancor più bionda dopo la doccia. Calda di tumido vapore, era avvolta in una spumeggiante nuvola di spugna bianca. Guardò Carlo con un’espressione di malizia che fingeva stupore. Iniziò ad accarezzargli le labbra sfiorandole con la punta delle dita... un sospiro infinito, poi gli chiese: "Desidera?"
D'istinto lui rispose: "Si vede?"
Colto da un impeto d’incontenibile passione, Carlo si ritrovò in bocca il pollice della sua mano destra e iniziò a succhiarglielo come un lattante. La passione poppava e lei, lì, evanescente, immersa nella bianca ciniglia, sempre più morbida, pareva un angelo. L’uomo ficcò le mani vogliose nell’accappatoio che scivolò a terra, poi sbuffò: “Amo il latte fresco!”
Lei protese il petto e gridò: “Mungi la tua mucca!”
Carlo iniziò ad abbeverarsi a quella prodiga fonte di raffinatezza. Si sentiva l’allegro pastore e in lei vedeva la sua pezzata bianca. Esaudii ogni suo desiderio, ogni vezzo, ogni piccola mania, anche quella di cronometrare la durata degli amplessi. Il suo erotismo era quello di una Heidi golosa: scalò più volte la sua virilità a labbra nude, per raggiungere la vetta e sollecitarla a coprirsi di calda, morbida, panna.
Lui, ignaro del peso che ben avrebbe portato sulla testa, salì sulla limousine piastrellata d’oro e partì, affidandosi ad un autista azzimato.
Giunta in camera l’uomaiola fece qualche piegamento sulle ginocchia e raggiunse la sua poltrona preferita, rimandando la doccia di qualche minuto. “Quel meridionale m’incuriosisce”, pensò.
“Gli farò qualche domanda. Voglio sapere tutto di lui, anche i più intimi segreti: taglia, numero di scarpe, presenza di cicatrici, tatuaggi, protesi, denti d'oro, tempo di reazione al solletico, dentifricio, disinfettanti e profilattici preferiti.” Sorrise. Chiamò la reception: “Vorrei la colazione in camera per due, fra un'ora esatta!”
“Madame, sono le tre del mattino”, straripò dall’interfono il portiere di notte, un po’ turbato.
“Non ho chiesto il suo parere: desidero mangiare con calma. E mi mandi il lift, per una commissione urgente”, disse, emettendo una traccia d’edelweiss e lisoformio.
Interrogando in profondità la sua anima che lo stava portando in un ennesimo paradiso di lussuria, Carlo capì che Cupido aveva scagliato le solite frecce che prima penetrano nel cuore dolcemente, poi lo fanno sanguinare da bastardi. “Proprio di una locarnese dovevo innamorarmi?! Ma è incantevole, misteriosa, intrigante, probabilmente non è svizzera, forse è nata a Verbania. E poi, via, cosa importa, anche se è svizzera nessuno è perfetto, ciò che conta è che s’innamori anche lei.”
Da un gabinetto fermamente informale, era passato ad un’esclusiva lounge, veramente da Principi di Piemonte. Si avvicinò alla reception chiedendo della signora con discrezione. Il portiere disse semplicemente: “L’attende, Suite 00, dodicesimo piano.”
Per salire non prese l’ascensore, che oltre a tutto era fermo proprio al dodicesimo e non dava cenno di sbloccarsi. Completò le scale con affanno. La speranza trepidava ma senza esibirsi troppo. Bussò alla porta, tre leggeri tocchi. Niente. Ribussò con forza. Aprì il ragazzo dell’ascensore, intento a tirarsi su la cerniera dei calzoni. “Sei arrivato? Meno male, con quei denti aguzzi… ho sempre paura che scatti come una tagliola” Scomparve in un lampo.
Molto strano. Carlo restò immobile sulla soglia, con la bottiglia di champagne in mano. Entrò sospettando. Il bagno vibrava di un promettente scrosciare d'acqua. Posò la bottiglia sul tavolo, notando il letto sfatto e un paio di calzini da uomo. Un particolare inquietante per un’elvetica, il disordine. L'evidenza gli gridava in faccia la verità! E lui non voleva capire.
Comparve un elfo luminoso. Quel viso volpino, segnato dal tempo, era grazioso senza fard. La donna sembrava ancor più bionda dopo la doccia. Calda di tumido vapore, era avvolta in una spumeggiante nuvola di spugna bianca. Guardò Carlo con un’espressione di malizia che fingeva stupore. Iniziò ad accarezzargli le labbra sfiorandole con la punta delle dita... un sospiro infinito, poi gli chiese: "Desidera?"
D'istinto lui rispose: "Si vede?"
Colto da un impeto d’incontenibile passione, Carlo si ritrovò in bocca il pollice della sua mano destra e iniziò a succhiarglielo come un lattante. La passione poppava e lei, lì, evanescente, immersa nella bianca ciniglia, sempre più morbida, pareva un angelo. L’uomo ficcò le mani vogliose nell’accappatoio che scivolò a terra, poi sbuffò: “Amo il latte fresco!”
Lei protese il petto e gridò: “Mungi la tua mucca!”
Carlo iniziò ad abbeverarsi a quella prodiga fonte di raffinatezza. Si sentiva l’allegro pastore e in lei vedeva la sua pezzata bianca. Esaudii ogni suo desiderio, ogni vezzo, ogni piccola mania, anche quella di cronometrare la durata degli amplessi. Il suo erotismo era quello di una Heidi golosa: scalò più volte la sua virilità a labbra nude, per raggiungere la vetta e sollecitarla a coprirsi di calda, morbida, panna.