capitolo 1
nebbia
La luce fioca dei lampioni riverbera nei vortici di bruma, illuminando un angolo di marciapiede, dove dormono una serranda abbassata e un’insegna al neon. Il Bar Sport ‘61 guarda una piazza perfettamente circolare, sulla quale svettano alti pini. E’ un anfiteatro urbano circondato da palazzi del 1960, di sette, otto e nove piani, eppure sembra un paese; qui i rumori di Torino non sono altro che una lontana eco. L'opacità avvolge ogni cosa, vorticando su se stessa. Passa un’automobile con l'autoradio a tutto volume. Manca mezz’ora a mezzanotte.
Ecco l'uomo, passo lento ammantato di nebbia, simulacro vacillante. Arriva sull'angolo percorrendo una delle sette vie che sfociano come torrenti nel lago d’erba e cemento, trascinando antichi pensieri divelti, grovigli d’emozioni e sublimi tracce. Da mille punti cardinali, il passato alimenta questa patria, un tempo prato, avventura, sogno, amore, terra, fiori, canali, vento, pioggia.
Si guarda attorno, fiutando il ricordo respira a pieni polmoni, si siede sul gradino della porta d'ingresso: il bar è chiuso, i tubi di vetro dell’insegna bruciano gas rosso, bianco e verde. Le ultime ore di domenica 31 dicembre 1995… agonizzano. Passerà San Silvestro da solo ma non certo a casa. E' una questione di principio: è il primo giorno dell'anno! Che anno di merda, da gettare.
Giocherella con una radiolina portatile che crepita una melodia ballabile. Cambia stazione: - Quando sei qui con me questa stanza non ha più pareti ma alberi… suona un’armonica mi sembra un organo che vibra per te e per me…
Lui si abbandona, tira fuori da una tasca dell'impermeabile un pacchetto di sigarette, ne sceglie una con cura, la guarda, la annusa, la ripone e ne prende una seconda. Si gratta maldestramente la testa. Ha un improvviso tic isterico: un nervoso e ripetuto cenno del capo verso l'alto, un po' a sinistra e un po' a destra. Si pulisce l'interno dell'orecchio destro, penetrandolo con il mignolo, torcendo lievemente la bocca. Terminata l'operazione, poggia le mani sullo stomaco ed erutta soddisfatto. Annusa di nuovo la sigaretta pregustandone il sapore, per poi cadere in uno stato di profonda ansia. Non sa come accenderla. Si fruga meticolosamente tasche e taschini, si volta alla sua destra e inizia a parlare con un compagno invisibile, seduto sullo stesso gradino.
"Ehm...ehm, scusa, non c'avresti mica d'accendere? Ho mangiato come un porco e una boccata di fumo mi fa bene, mi fa digerire... sai, la solita colite, con tutte le sfighe che mi ritrovo c'ho anche questa. Marta invece... te la ricordi Marta Bevilacqua, no?! Beh… ti dico… un deretano pazzesco! Due giorni fa stipula una polizza sulla vita da mille milioni e ieri l'hanno investita sulle strisce in Corso Giulio Cesare! Stirata sul colpo, inamidata per l’eternità. Capisci che fortuna?! Può riscuotere il premio! Un culo ti dico! Marta morta miliardaria: che risate… Scusa il gioco di parole, lo so che i miei giochi di parole non fanno ridere, mi è scappato, perdonami. Non te la prendere, mi fai accendere? Ah già, è vero, ho deciso di smettere di fumare mezz'ora fa e se ho chiuso con le cicche c'ho carattere, posso smettere quando voglio. Fammi accendere va, è inutile che mi guardi così Carlo, t'assicuro che posso smettere quando voglio, il fumo non da assuefazione, io lo so, fumo da trentadue anni. Ero un ragazzino quando ho cominciato, ti ricordi? Mi nascondevo al gabinetto perché i miei non volevano. Poi quando sono cresciuto non potevo certo chiudermi in bagno per farmi un mozzicone, così trovavo una scusa per andare in cantina. Ma forse te l'ho già raccontato... o no?…”
Silenzio, solo nebbia e un notturno ballabile. L’uomo tira fuori da un tascone interno dell’impermeabile una bottiglia di gin ancora vergine. La apre, beve a garganella.
“Vuoi un goccio? No. Peccato. E’ l’unica cosa che mi ha lasciato papà… l’etilismo. Scusami, devo ruttare, mi fa bene, quando penso ai miei ricordi la colite mi diventa gastrite e se i miei ricordi mi pensano arriva l’ulcera. Ti spiace se petto? Non fare quella faccia schifata! Ti divertivo tanto, io dicevo sempre quello che pensavo... ma il tuo atteggiamento di superiorità mi ha sempre dato fastidio, la mania di fare l'intellettuale, le tue esibizioni, come quando ti vantavi che avevi letto Hesse. E allora? Io a quindici anni avevo fatto molto di più, ero arrivato alla t, alla u, alla v, mi mancava solo la z.
Va bene, l’abbecedario non fa ridere se lo prendi alla lettera, anche perché noi, le avanguardie degli anni '60, a scuola abbiamo iniziato con le aste. Tu sei fortunato, le aste le fai anche adesso, in televisione. Sei un divo, parli come un fiume in piena, lasci scorrere cateratte di stupidità, ipnotizzi tutti, catturi i fessi. Devo ammetterlo, tu sei un mago, capace di far comparire dal nulla l'asino che c'hai dentro. Tanto non ti telefono per farmi mandare il set d’orologi con gli stemmi delle case reali europee a sole Lire 97.000, sarà un bidone pazzesco. Ricordati che io potevo diventare una stella del cinema mondiale, un divo, non uno schiavo come te, ma mi è andata di sfiga. Lo sai che è una storia incasinata, non voglio più parlarne… stavo per rimetterci la ghirba! Per molto meno il Ciampolillo è entrato negli arancioni, quelli di Osho! Te lo ricordi il Ciampolillo, quel comunista libertario, bassotto, pugliese? Beh, s’è fatto indù e sto gin fa schifo, l’ho comprato al supermercato, costa poco, però c’ha i suoi bei 45 gradi. Vuoi? No. Fa lo stesso. Smettila di guardarmi come se fossi scemo, ma sei scemo?” Tracanna una lunga sorsata e si appoggia stancamente alla saracinesca del bar.
“Fammi accendere che dico quattro stronzate! Non mi lasci spazio. Tu hai mai saputo valorizzare il mio umorismo popolare d’impronta gramsciana: non mi mettevi in evidenza. Forse non è vero, scusa. Le pustole, l'acne come dicevi tu, lo sapevi valorizzare con gli amici del bar. Quale bar? Questo, proprio questo. Dal gradino dove ci siamo seduti adesso doveva partire la rivoluzione proletaria! Ti ricordi i bei tempi? Era bello no?! Dici di no? Come no? Se erano i bei tempi, era bello! No, eh? Non insisto. Mi fai accendere... ma non hai neanche un cerino, un minerva, uno zolfanello? Dici di no? Non insisto. Cosa guardi?! Sì, i brufoli li ho ancora… Ti ricordi? Quando c'erano le ragazze attorno al calcetto e arrivavo io dicevi sempre: - Niente paura, non è contagioso, vieni avanti, appestato!
Mi volevi bene. Dici di no? Non insisto, d'altra parte non è colpa tua se sei una carogna. Hai sofferto per un parto difficile perché tua madre era stitica!
No, no, scusa, ti sei offeso? Aspetta, non andare via! Carlo, resta ancora un po’, non pensavo di poterti incontrare di nuovo, proprio qui. Lo sai che ci tengo alla tua amicizia, sei uno dei pochi amici che non ho. Tu non mi hai mai voltato le spalle, e neanche io, soprattutto quando venivi a casa mia per fregarti i Kriminal, gli Alan Ford e gli LP dei Led Zeppelin…”
Esita, sembra risvegliarsi… non c’è nessuno, solo parole, parole, parole inghiottite dai mulinelli di nebbia, che le trascinano nel nulla. Un gorgo muto, senza fine. E’ solo un palpito d’incertezza, lungo come il primo tempo dell’eternità.
“Mi eri tanto amico, ti ricordi Angela? Gli occhi grandi da cerbiatta, i capelli neri, lunghissimi, la pelle scura e il culo grosso e basso. Sembrava una mulatta, mi piaceva un frego. Abitava proprio in questa casa di fronte al bar, al quinto piano. Non te la ricordi? Non fare il finto tonto, solo perché sono passate trenta primavere! Il mio cuore ha una memoria indistruttibile! E’ stato bello da parte tua non schifarti, dimenticarti che era la mia prima ragazza e baciarla nel parco della Cittadella, anche se non ti piaceva niente, per poi venirmi a dire che non faceva per me.
Io ero un masochista, andavo a cercarmi apposta le ninfomani per soffrire, avevo bisogno di una tipa sincera. Un grande amico. Te la prendesti molto, perché non mi era stata fedele, t’incazzasti così tanto da andarci a letto varie volte. Così mi raccontavi. Sei stato gentile, anzi genitale, a controllare la tua rabbia e ad insultarmi senza prendermi a pugni, perché io ci avevo filato due mesi senza nemmeno sfiorarla con il proverbiale dito medio.
Le donne erano la mia ossessione, come la timidezza. Mi sentivo mediocre, così ti chiedevo di aiutarmi, per attaccare con una che avevo visto in Via Cimarosa. Tu la tampinavi, l’agganciavi su mia segnalazione ed eri a posto, avevi svolto bene il compito. Iniziavi ad uscire con lei continuando a curarti le altre. Lo so che non sei mai stato un bastardo ma solo… un porco. Ti sentivi meglio se riuscivi a tradire la prima e a collezionarne altre due. Certo che poi ti crescevano ed era un casino organizzare le telefonate, gli appuntamenti, ma… si trattava di una questione di prestigio. La ragazza ufficiale veniva a saperlo dal quartiere, che non si faceva mai i fatti suoi, e ti piantava un casino pazzesco. Piangevi disperato, giuravi di lasciarle, telefonavi alle altre davanti a lei, senza un minimo di dignità. Fingevi imbarazzo ed il caso era risolto. Riappendevi sollevato. Ed alla fine ti mollava lo stesso. Chi può fidarsi di te, conoscendoti appena un po’? Così ti ritrovavi spaiato, come all’inizio, e potevamo di nuovo frequentarci. Che bella amicizia! Peccato, quel che è stato è stato.
Adesso mi deprime pensare d’aver perso la strada: tu, che hai iniziato come me, con le aste a scuola, continui a fare le aste in televisione! Hai imparato la lezione. Vendi litografie taroccate, quadri che sono delle croste, orologi e gioielli falsi, cocaina e sei sempre stanco... ti fai un sedere così, ma anche un ciulo di soldi. Sei il direttore generale di Tele Top Torino, scapolo, villa in collina, Mercedes cabriolet e Porsche nuova. Non sono tue ma che te ne frega?! Tu vivi molto al di sopra delle mie possibilità. T'inseguono tutte le amanti e gli usurai che un uomo può desiderare, ti minacciano di morte, ti bucano le ruote della macchina: sei un figo, ricco di debiti, la fortuna è dalla tua! Io invece, ho un lavoro fisso, pulisco i corridoi e i gabinetti in ospedale, e nel tempo libero vado in giro per la città come un barbone, forse perché a scuola mi mandavano sempre fuori dell’aula. Sono uno zingaro… sedentario. Ho comprato un alloggio di camera e tinello e vivo con una donna che ha dieci anni meno di me, mi vuole bene, è eternamente depressa, urla durante i pasti, mi tradisce ogni mese e spende tutto il mio e il suo stipendio in vestiti, profumi e discoteche. Un disastro, mi fa ridere più di Dario Fo!
Ecco l'uomo, passo lento ammantato di nebbia, simulacro vacillante. Arriva sull'angolo percorrendo una delle sette vie che sfociano come torrenti nel lago d’erba e cemento, trascinando antichi pensieri divelti, grovigli d’emozioni e sublimi tracce. Da mille punti cardinali, il passato alimenta questa patria, un tempo prato, avventura, sogno, amore, terra, fiori, canali, vento, pioggia.
Si guarda attorno, fiutando il ricordo respira a pieni polmoni, si siede sul gradino della porta d'ingresso: il bar è chiuso, i tubi di vetro dell’insegna bruciano gas rosso, bianco e verde. Le ultime ore di domenica 31 dicembre 1995… agonizzano. Passerà San Silvestro da solo ma non certo a casa. E' una questione di principio: è il primo giorno dell'anno! Che anno di merda, da gettare.
Giocherella con una radiolina portatile che crepita una melodia ballabile. Cambia stazione: - Quando sei qui con me questa stanza non ha più pareti ma alberi… suona un’armonica mi sembra un organo che vibra per te e per me…
Lui si abbandona, tira fuori da una tasca dell'impermeabile un pacchetto di sigarette, ne sceglie una con cura, la guarda, la annusa, la ripone e ne prende una seconda. Si gratta maldestramente la testa. Ha un improvviso tic isterico: un nervoso e ripetuto cenno del capo verso l'alto, un po' a sinistra e un po' a destra. Si pulisce l'interno dell'orecchio destro, penetrandolo con il mignolo, torcendo lievemente la bocca. Terminata l'operazione, poggia le mani sullo stomaco ed erutta soddisfatto. Annusa di nuovo la sigaretta pregustandone il sapore, per poi cadere in uno stato di profonda ansia. Non sa come accenderla. Si fruga meticolosamente tasche e taschini, si volta alla sua destra e inizia a parlare con un compagno invisibile, seduto sullo stesso gradino.
"Ehm...ehm, scusa, non c'avresti mica d'accendere? Ho mangiato come un porco e una boccata di fumo mi fa bene, mi fa digerire... sai, la solita colite, con tutte le sfighe che mi ritrovo c'ho anche questa. Marta invece... te la ricordi Marta Bevilacqua, no?! Beh… ti dico… un deretano pazzesco! Due giorni fa stipula una polizza sulla vita da mille milioni e ieri l'hanno investita sulle strisce in Corso Giulio Cesare! Stirata sul colpo, inamidata per l’eternità. Capisci che fortuna?! Può riscuotere il premio! Un culo ti dico! Marta morta miliardaria: che risate… Scusa il gioco di parole, lo so che i miei giochi di parole non fanno ridere, mi è scappato, perdonami. Non te la prendere, mi fai accendere? Ah già, è vero, ho deciso di smettere di fumare mezz'ora fa e se ho chiuso con le cicche c'ho carattere, posso smettere quando voglio. Fammi accendere va, è inutile che mi guardi così Carlo, t'assicuro che posso smettere quando voglio, il fumo non da assuefazione, io lo so, fumo da trentadue anni. Ero un ragazzino quando ho cominciato, ti ricordi? Mi nascondevo al gabinetto perché i miei non volevano. Poi quando sono cresciuto non potevo certo chiudermi in bagno per farmi un mozzicone, così trovavo una scusa per andare in cantina. Ma forse te l'ho già raccontato... o no?…”
Silenzio, solo nebbia e un notturno ballabile. L’uomo tira fuori da un tascone interno dell’impermeabile una bottiglia di gin ancora vergine. La apre, beve a garganella.
“Vuoi un goccio? No. Peccato. E’ l’unica cosa che mi ha lasciato papà… l’etilismo. Scusami, devo ruttare, mi fa bene, quando penso ai miei ricordi la colite mi diventa gastrite e se i miei ricordi mi pensano arriva l’ulcera. Ti spiace se petto? Non fare quella faccia schifata! Ti divertivo tanto, io dicevo sempre quello che pensavo... ma il tuo atteggiamento di superiorità mi ha sempre dato fastidio, la mania di fare l'intellettuale, le tue esibizioni, come quando ti vantavi che avevi letto Hesse. E allora? Io a quindici anni avevo fatto molto di più, ero arrivato alla t, alla u, alla v, mi mancava solo la z.
Va bene, l’abbecedario non fa ridere se lo prendi alla lettera, anche perché noi, le avanguardie degli anni '60, a scuola abbiamo iniziato con le aste. Tu sei fortunato, le aste le fai anche adesso, in televisione. Sei un divo, parli come un fiume in piena, lasci scorrere cateratte di stupidità, ipnotizzi tutti, catturi i fessi. Devo ammetterlo, tu sei un mago, capace di far comparire dal nulla l'asino che c'hai dentro. Tanto non ti telefono per farmi mandare il set d’orologi con gli stemmi delle case reali europee a sole Lire 97.000, sarà un bidone pazzesco. Ricordati che io potevo diventare una stella del cinema mondiale, un divo, non uno schiavo come te, ma mi è andata di sfiga. Lo sai che è una storia incasinata, non voglio più parlarne… stavo per rimetterci la ghirba! Per molto meno il Ciampolillo è entrato negli arancioni, quelli di Osho! Te lo ricordi il Ciampolillo, quel comunista libertario, bassotto, pugliese? Beh, s’è fatto indù e sto gin fa schifo, l’ho comprato al supermercato, costa poco, però c’ha i suoi bei 45 gradi. Vuoi? No. Fa lo stesso. Smettila di guardarmi come se fossi scemo, ma sei scemo?” Tracanna una lunga sorsata e si appoggia stancamente alla saracinesca del bar.
“Fammi accendere che dico quattro stronzate! Non mi lasci spazio. Tu hai mai saputo valorizzare il mio umorismo popolare d’impronta gramsciana: non mi mettevi in evidenza. Forse non è vero, scusa. Le pustole, l'acne come dicevi tu, lo sapevi valorizzare con gli amici del bar. Quale bar? Questo, proprio questo. Dal gradino dove ci siamo seduti adesso doveva partire la rivoluzione proletaria! Ti ricordi i bei tempi? Era bello no?! Dici di no? Come no? Se erano i bei tempi, era bello! No, eh? Non insisto. Mi fai accendere... ma non hai neanche un cerino, un minerva, uno zolfanello? Dici di no? Non insisto. Cosa guardi?! Sì, i brufoli li ho ancora… Ti ricordi? Quando c'erano le ragazze attorno al calcetto e arrivavo io dicevi sempre: - Niente paura, non è contagioso, vieni avanti, appestato!
Mi volevi bene. Dici di no? Non insisto, d'altra parte non è colpa tua se sei una carogna. Hai sofferto per un parto difficile perché tua madre era stitica!
No, no, scusa, ti sei offeso? Aspetta, non andare via! Carlo, resta ancora un po’, non pensavo di poterti incontrare di nuovo, proprio qui. Lo sai che ci tengo alla tua amicizia, sei uno dei pochi amici che non ho. Tu non mi hai mai voltato le spalle, e neanche io, soprattutto quando venivi a casa mia per fregarti i Kriminal, gli Alan Ford e gli LP dei Led Zeppelin…”
Esita, sembra risvegliarsi… non c’è nessuno, solo parole, parole, parole inghiottite dai mulinelli di nebbia, che le trascinano nel nulla. Un gorgo muto, senza fine. E’ solo un palpito d’incertezza, lungo come il primo tempo dell’eternità.
“Mi eri tanto amico, ti ricordi Angela? Gli occhi grandi da cerbiatta, i capelli neri, lunghissimi, la pelle scura e il culo grosso e basso. Sembrava una mulatta, mi piaceva un frego. Abitava proprio in questa casa di fronte al bar, al quinto piano. Non te la ricordi? Non fare il finto tonto, solo perché sono passate trenta primavere! Il mio cuore ha una memoria indistruttibile! E’ stato bello da parte tua non schifarti, dimenticarti che era la mia prima ragazza e baciarla nel parco della Cittadella, anche se non ti piaceva niente, per poi venirmi a dire che non faceva per me.
Io ero un masochista, andavo a cercarmi apposta le ninfomani per soffrire, avevo bisogno di una tipa sincera. Un grande amico. Te la prendesti molto, perché non mi era stata fedele, t’incazzasti così tanto da andarci a letto varie volte. Così mi raccontavi. Sei stato gentile, anzi genitale, a controllare la tua rabbia e ad insultarmi senza prendermi a pugni, perché io ci avevo filato due mesi senza nemmeno sfiorarla con il proverbiale dito medio.
Le donne erano la mia ossessione, come la timidezza. Mi sentivo mediocre, così ti chiedevo di aiutarmi, per attaccare con una che avevo visto in Via Cimarosa. Tu la tampinavi, l’agganciavi su mia segnalazione ed eri a posto, avevi svolto bene il compito. Iniziavi ad uscire con lei continuando a curarti le altre. Lo so che non sei mai stato un bastardo ma solo… un porco. Ti sentivi meglio se riuscivi a tradire la prima e a collezionarne altre due. Certo che poi ti crescevano ed era un casino organizzare le telefonate, gli appuntamenti, ma… si trattava di una questione di prestigio. La ragazza ufficiale veniva a saperlo dal quartiere, che non si faceva mai i fatti suoi, e ti piantava un casino pazzesco. Piangevi disperato, giuravi di lasciarle, telefonavi alle altre davanti a lei, senza un minimo di dignità. Fingevi imbarazzo ed il caso era risolto. Riappendevi sollevato. Ed alla fine ti mollava lo stesso. Chi può fidarsi di te, conoscendoti appena un po’? Così ti ritrovavi spaiato, come all’inizio, e potevamo di nuovo frequentarci. Che bella amicizia! Peccato, quel che è stato è stato.
Adesso mi deprime pensare d’aver perso la strada: tu, che hai iniziato come me, con le aste a scuola, continui a fare le aste in televisione! Hai imparato la lezione. Vendi litografie taroccate, quadri che sono delle croste, orologi e gioielli falsi, cocaina e sei sempre stanco... ti fai un sedere così, ma anche un ciulo di soldi. Sei il direttore generale di Tele Top Torino, scapolo, villa in collina, Mercedes cabriolet e Porsche nuova. Non sono tue ma che te ne frega?! Tu vivi molto al di sopra delle mie possibilità. T'inseguono tutte le amanti e gli usurai che un uomo può desiderare, ti minacciano di morte, ti bucano le ruote della macchina: sei un figo, ricco di debiti, la fortuna è dalla tua! Io invece, ho un lavoro fisso, pulisco i corridoi e i gabinetti in ospedale, e nel tempo libero vado in giro per la città come un barbone, forse perché a scuola mi mandavano sempre fuori dell’aula. Sono uno zingaro… sedentario. Ho comprato un alloggio di camera e tinello e vivo con una donna che ha dieci anni meno di me, mi vuole bene, è eternamente depressa, urla durante i pasti, mi tradisce ogni mese e spende tutto il mio e il suo stipendio in vestiti, profumi e discoteche. Un disastro, mi fa ridere più di Dario Fo!