capitolo 9
Continuazione
Guido si guarda attorno. Tutto finito, il 1995 è morto stecchito. I marciapiedi sono coperti di rottami feriti. Sniffando rimpianti, sospira e si alza dal gradino del bar. L’insegna al neon arde di gas rosso, bianco e verde. Si stiracchia indolenzito: il gin, risucchiato dalle pareti dell’intestino è entrato in circolo e assalta il cervello. Beve ancora. Si ficca un mignolo in un orecchio per scavarlo in profondità, poi poggia le mani sullo stomaco e rutta placato: “Carlo, sei bravo a raccontare la mia vita. Come fai a sapere particolari che neppure io conosco?”
“Sono un’allucinazione e tra spettri ci s’intende. Hai finito con gli esercizi d’aerofagia? La smetti di distrarti?”
“Okay, okay.”
“Anche la tua mamma non credeva ai propri occhi. Era certa d’avere una visione causata da un’indigestione di fruttini Zueg.
“Una debolezza di famiglia, le indigestioni.”
“Zitto! Carlotta corse in cucina, tracannò due tazze di caffé avanzato e si lavò la faccia con l’acqua fredda.
Tornò in salotto ma quel bel ragazzone, sputato James Dean, era ancora lì, che la guardava con aria di sfida dallo schermo del Radiomarelli: - Amami, concluse beffardo il fusto.
“Che cosa devo fare, mi tolgo la gonna?”
“Non diciamo sconcezze, avvicinati, ecco tutto… e adesso baciami sto spettacolo! Brava, così, così...”
“Ella si lasciò prendere dalla passione. Mugolava e accarezzava le parti intime del televisore, manopole comprese: - James, James, oh James! Ma la calda voce del ragazzo la freddò di colpo.”
“Okay pupa, sei incinta, bye bye!!”
Carlotta disperò. “No, aspetta, non puoi andartene così, lasciami almeno un segno del tuo passaggio. Mio marito non ci crederà mai!”
“Fatti tuoi, pischella.”
“No, no, avrò diritto almeno ad una ricevuta, uno scontrino, un biglietto col marchio Anic-Agis!”
“Abbi fede, abbi fede... lo chiameranno James Dean junior, addio!”
“James Dean si eclissò, abdicando ad un concerto di musica da camera.”
Pier Guido ascoltava Carlo, commosso, lasciando che calde lacrime rigassero il suo volto, ancora cosparso come un tempo d’acne e pustole gonfie di pus.
“Sì, amico. Tua madre si risvegliò da quel sogno angoscioso, tanto reale; s’era appisolata sul divano col televisore acceso, tra pacchi, nastrini colorati e doni. Asciugandosi la fronte grondante sudore, si sedette, cercò di tranquillizzarsi, dicendo a sé stessa che era stato un incubo, uno scherzo dell’inconscio per l’imminente Carnevale. Allungò una mano tremante e si cacciò in bocca un bacio Perugina. Ne ingoiò venti, uno dopo l’altro, senza leggere i messaggini, ma gli ultimi tre li inghiottì tutti insiemi. Le strozzarono il gargarozzo, provocandole una laringo-faringo-tracheite fulminante.”
L’uomo seduto sul gradino guarda la piazza vuota; i pini di Respighi si piegano, spinti da un’improvvisa brezza gelata. Fra schiamazzi ritardatari, la radiolina trasmette un languido fado; la voce Amalia sa di lontananza lusitana. Negli occhi del folle viandante, brilla una luce assoluta di poesia.
“Il resto della storia lo conosco, Carlo. Ma tu… sei Carlo?”
“Certo, se tu sei Pier Guido, io sono Carlo”, conclude il miraggio.
“Sto diventando pazzo?”
“Forse, ma non aver paura. Vedrai che dopo, tutto sarà bellissimo: giocherai per sempre con le biglie di plastica con dentro la figurina di Ghezzi.”
“No, Carlo, non era Ghezzi, era Cudicini, ne avevo sempre dieci o dodici di Cudicini, era facile da trovare nelle bustine delle figu, una vera ossessione: che palle, di nuovo Cudicini! Me lo ricordo... con quella faccia da King Kong con la maglia della Roma! No, sto dicendo una sciocchezza, Cudicini viene dopo, verso il 1962. Allora era Ghezzi: non mi sopporto quando m’interrompo.”
“Okay, era Ghezzi. Non vuoi sapere nulla di tuo padre Erik?”
“Preferirei lo scudetto del Modena, in vera finta plastica. Era rarissimo. Alla fine della raccolta dovevo sempre mandarlo a chiedere alla Panini. Il Modena, che poi l’anno dopo è andato in serie B. Peccato, perché mi piaceva la maglia gialla.”
“Sono un’allucinazione e tra spettri ci s’intende. Hai finito con gli esercizi d’aerofagia? La smetti di distrarti?”
“Okay, okay.”
“Anche la tua mamma non credeva ai propri occhi. Era certa d’avere una visione causata da un’indigestione di fruttini Zueg.
“Una debolezza di famiglia, le indigestioni.”
“Zitto! Carlotta corse in cucina, tracannò due tazze di caffé avanzato e si lavò la faccia con l’acqua fredda.
Tornò in salotto ma quel bel ragazzone, sputato James Dean, era ancora lì, che la guardava con aria di sfida dallo schermo del Radiomarelli: - Amami, concluse beffardo il fusto.
“Che cosa devo fare, mi tolgo la gonna?”
“Non diciamo sconcezze, avvicinati, ecco tutto… e adesso baciami sto spettacolo! Brava, così, così...”
“Ella si lasciò prendere dalla passione. Mugolava e accarezzava le parti intime del televisore, manopole comprese: - James, James, oh James! Ma la calda voce del ragazzo la freddò di colpo.”
“Okay pupa, sei incinta, bye bye!!”
Carlotta disperò. “No, aspetta, non puoi andartene così, lasciami almeno un segno del tuo passaggio. Mio marito non ci crederà mai!”
“Fatti tuoi, pischella.”
“No, no, avrò diritto almeno ad una ricevuta, uno scontrino, un biglietto col marchio Anic-Agis!”
“Abbi fede, abbi fede... lo chiameranno James Dean junior, addio!”
“James Dean si eclissò, abdicando ad un concerto di musica da camera.”
Pier Guido ascoltava Carlo, commosso, lasciando che calde lacrime rigassero il suo volto, ancora cosparso come un tempo d’acne e pustole gonfie di pus.
“Sì, amico. Tua madre si risvegliò da quel sogno angoscioso, tanto reale; s’era appisolata sul divano col televisore acceso, tra pacchi, nastrini colorati e doni. Asciugandosi la fronte grondante sudore, si sedette, cercò di tranquillizzarsi, dicendo a sé stessa che era stato un incubo, uno scherzo dell’inconscio per l’imminente Carnevale. Allungò una mano tremante e si cacciò in bocca un bacio Perugina. Ne ingoiò venti, uno dopo l’altro, senza leggere i messaggini, ma gli ultimi tre li inghiottì tutti insiemi. Le strozzarono il gargarozzo, provocandole una laringo-faringo-tracheite fulminante.”
L’uomo seduto sul gradino guarda la piazza vuota; i pini di Respighi si piegano, spinti da un’improvvisa brezza gelata. Fra schiamazzi ritardatari, la radiolina trasmette un languido fado; la voce Amalia sa di lontananza lusitana. Negli occhi del folle viandante, brilla una luce assoluta di poesia.
“Il resto della storia lo conosco, Carlo. Ma tu… sei Carlo?”
“Certo, se tu sei Pier Guido, io sono Carlo”, conclude il miraggio.
“Sto diventando pazzo?”
“Forse, ma non aver paura. Vedrai che dopo, tutto sarà bellissimo: giocherai per sempre con le biglie di plastica con dentro la figurina di Ghezzi.”
“No, Carlo, non era Ghezzi, era Cudicini, ne avevo sempre dieci o dodici di Cudicini, era facile da trovare nelle bustine delle figu, una vera ossessione: che palle, di nuovo Cudicini! Me lo ricordo... con quella faccia da King Kong con la maglia della Roma! No, sto dicendo una sciocchezza, Cudicini viene dopo, verso il 1962. Allora era Ghezzi: non mi sopporto quando m’interrompo.”
“Okay, era Ghezzi. Non vuoi sapere nulla di tuo padre Erik?”
“Preferirei lo scudetto del Modena, in vera finta plastica. Era rarissimo. Alla fine della raccolta dovevo sempre mandarlo a chiedere alla Panini. Il Modena, che poi l’anno dopo è andato in serie B. Peccato, perché mi piaceva la maglia gialla.”